Pubblichiamo il post di Chiara Miccoli, partecipante alla XIII edizione del Master.
Vuoi per l’Expo 2015, vuoi per la food mania, vuoi per i food blogger che sbocciano in rete come fiori in primavera, ma ultimamente non si può fare a meno di parlare di cibo. È chiaro che lo sviluppo di determinate piattaforme online, abbia contribuito in maniera evidente alla diffusione del credo culinario. Di cucina si parla veramente ovunque, e tutti siamo potenziali “vittime” di questo fenomeno – che diciamocelo – mette un po’ d’acquolina!
L’avvento del Web 2.0 ha reso possibile l’uso di strumenti e applicazioni che invogliano lo sharing e l’interattività degli utenti; non è un confine rigido, anzi, si identifica come un vero e proprio nucleo gravitazionale. A differenza del Web 1.0 o semplicemente, del Web, il Web 2.0 è collaborativo, partecipativo e mette chiunque nelle condizioni di creare dei contenuti.
Il modo più semplice per percepire questi importanti cambiamenti è menzionare quelli che sono gli strumenti che il Web 2.0 ci offre; il blog è uno di questi.
Il termine, derivante da web logos o diario online, esprime il senso intrinseco del blog: gli utenti possono scrivere e pubblicare contenuti a loro scelta e comunicare con gli interlocutori in tempi assolutamente rapidi. I blog vengono costruiti sulla base di un tema ben preciso che deve essere coerentemente seguito. Famosissimi sono i blog di satira, di moda, d’informatica e, last but not least, i blog culinari. Trattare dei food blog vuol dire immergersi in un mondo vastissimo, pieno di cose da fare, pieno di contenuti, ma soprattutto pieno di persone. Sì, perché tutte le volte che si scrive su un blog è importante ricordare di avere delle persone dall’altra parte dello schermo. Raggiungerle è facile, facilissimo anzi; il problema è riuscire a coinvolgerle, a trattenerle e tenerle. E il lavoro del blogger è proprio questo.
Il mondo e le abitudini individuali ruotano attorno a una serie infinita di usi e consuetudini che ci siamo imposti e, l’attitudine a consultare l’ultimo post del proprio blog preferito, è uno di queste.
L’autore dei food blog, il food blogger, è colui che inventa (alcune volte ricopia), pubblica, fotografa piatti della tradizione italiana e non. Secondo un’attenta analisi svolta attraverso un questionario fatto e inviato ai follower dei food blog, risulta che il 10% dei seguaci leggono post su un blog tutti i giorni; il 45% una volta a settimana, il 26% due o tre volte al mese; il 10% una volta ogni due o tre mesi; il 10% più sporadicamente.
In Italia, il fenomeno del food blogging nasce e si diffonde intorno al 2005; il primo blog di culto è Cavoletto di Bruxelles di Sigrid Verbert. La cura dei dettagli e il forte impatto delle immagini porta il blog a un incremento di visite tanto è vero che nel 2009, la Verbert, pubblica il primo di sette libri.
I food blogger stabiliscono dei collegamenti diretti con la rete attraverso i social network. Il loro lavoro, evidentemente, si svolge soprattutto su questo tipo di canali poiché permettono il raggiungimento diretto e il feedback immediato. Grazie a una ricerca realizzata da Reputation Manager, si evince che la presenza dei food blogger è incisiva soprattutto su YouTube, canale in cui si trovano video tutorial che riportano punto per punto lo svolgimento e la preparazione di una ricetta.
I video pubblicati dai food blogger sono circa 530 su 236 canali che hanno generato la bellezza di dieci milioni e cinquecentomila visualizzazioni e più di undicimila commenti.
Prima di concludere questo viaggio nel mondo del cibo 2.0, ci tengo a sottolineare che i food blogger hanno costituito un’Associazione nazionale no profit: l’AIFB – Associazione Italiana Food Blogger. I principali obiettivi risiedono nella volontà di far crescere la consapevolezza del ruolo dei food blogger nella sfera della comunicazione agroalimentare, attraverso la conoscenza, la valorizzazione e promozione del patrimonio culturale.
Curiosità: il primo food blog è nato nel 1997 negli USA col nome di Chow e oggi si avvia a festeggiare i vent’anni di attività perché sì, è ancora attivissimo.